Nazione: Italia
Anno: 1947
Durata: 80'


Bassa Padana, un uomo sul cassone di un camion, l'uomo è Massimo Girotti. (...) L'uomo è abbracciato a una donna, Carla Del Poggio, e su quel cassone di camion in lenta corsa, seguito da un corteo schiamazzante di gente in bicicletta che la cinepresa ha scoperto alzandosi dalla gru, i due danno spettacolo della propria voglia d'amore, baciandosi sotto gli scherzi e i lanci di confetti dei compagni. Sono Giovanna e Michele, che appena sposati fanno ritorno alla cascina-cooperativa in cui lavorano.
Un prete chiede un passaggio, l'autista lo fa salire dietro e questi scopre i due che si stanno baciando: innocente gag neorealista. La cooperativa e stata organizzata per lavorare le terre abbandonate dagli agrari dopo il ritiro di tedeschi e fascisti. Abbandonate e guastate: tutt'intorno, nella terra, sono ancora nascoste le mine collocate dai tedeschi, che i contadini cercano e fanno esplodere. Alla cooperativa non ci sono dunque padroni, vige un regime assembleare e si discute tutti insieme su come impiegare i sussidi che devono arrivare e con cui bisognerà pagare innanzitutto l'affitto delle terre, il bestiame e gli attrezzi. Ma il furgone che porta i denari e bloccato sulla strada da una falsa ambulanza da cui scendono alcuni banditi mascherati che rapinano i soldi. Michele riconosce uno di questi, e Alberto (Andrea Checchi), suo compagno nei campi di concentramento in Germania; oltre a lui vi sono un soldato tedesco, un autista e una donna che si fa chiamare Lili Marlene (Vivi Gioi). I banditi fuggono tenendosi in ostaggio Giovanna, mentre alla cooperativa i fattori cominciano a sequestrare le bestie non pagate, fra l'odio dei contadini.
Dopo aver vagato a lungo per la pianura, i due amanti Alberto e Lili Marlene raggiungono, con l'ostaggio, una casa isolata, dove si gioca al biliardo, si fa l'amore, si ascolta la radio. E si scopre chi ha manovrato la rapina, gli stessi fattori, per conto del padrone e per stroncare il movimento cooperativo. La caccia ai banditi inizia anche se Michele, pensando all'amico, manifesta strane reticenze. I banditi fuggono mescolandosi ai reduci che percorrono le campagne su un treno, alcuni di essi vengono presi. Michele, raggiunto Alberto, lo vince in un duello a pugni e schiaffi e lo obbliga a condurlo nel nuovo nascondiglio dove Giovanna è prigioniera. È un ex comando tedesco, circondato da mine che un collegamento elettrico può far saltare tutte insieme. I contadini accerchiano il luogo, Lili Marlene, dopo aver sparato all'impazzata con un mitra, sta per provocare l'esplosione ma Alberto, per fermarla, le spara. Alla sera, nella cooperativa, si svolge il processo popolare contro Alberto. I contadini, dopo un discorso del loro leader, Giuseppe, capiscono di chi è la colpa vera del banditismo e che Alberto, anche se ha sbagliato, è comunque uno di loro, uno degli sfruttati. Lo lasceranno andare indicandogli dove trovar lavoro e lanciandogli dietro scherzosamente delle zolle di terra, altrettanto augurali dei confetti, una terra liberata dalle mine, di nuovo sana.

(Alberto Farassino, Giuseppe De Santis, Moizzi Contemporanea, Milano, 1978)

Quel giorno di febbraio a cavallo di una gru
1 È così: ho cominciato la mia avventura di regista cinematografico a cavallo di una gru, lanciato nello spazio e cullato da braccia esperte di tecnici e macchinisti, quasi fossi un bambino da svagare e tener buono prima del sonno con una lunga accattivante ninnananna. Ero giovane giovane, e mi guardavano tutti con malcelata diffidenza, ignorando che invece da quelle altezze e da quel voli di gru io già meditavo ambiziosamente di calar giù come un falco a scoprire tombe e sollevare altarini occultati nei labirinti delle nostre strade e delle nostre piazze, ansioso come nessun altro mio collega di portare alla luce drammi e lacerazioni delle nostre campagne e delle nostre città percorse ancora, nonostante gli eventi bellici, da trame di fascismo non sempre oscure, e affollate di reduci disoccupati in cerca di giustizia, di contadini avidi di terra, e di gente. milioni e milioni di cittadini assetati di rinnovamento, di democrazia e di socialismo.
Era, per di più, l'11 febbraio del '47, e mentre mi accingevo a volare su quella gru per girare, nel primo giorno di lavorazione di Caccia tragica, la mia prima inquadratura di regista, io compivo gli anni, toccando la gloriosa tappa dei trenta che a quel tempo significava anche essere il più giovane debuttante del cinema italiano. Avrei potuto rinviare l'inizio delle riprese e festeggiare il mio trentesimo compleanno a riposo, anzi nel migliore dei modi possibili: circondato alla maniera di un generale da tutto quel reggimento di maestranze, attori e tecnici che già da qualche anno io smaniavo di avere al mio fianco a mia completa disposizione. Ma l'idea di aprire il fuoco della mia carriera cinematografica in una circostanza tanto speciale dovette eccitarmi, e, chissà, forse apparirmi (ahimè) di buon auspicio e fonte di scaramanzia per il futuro.

2 La gru era quella stessa di Ossessione (1942) che io avevo inforcato di nascosto, e colmo di trattenuta bramosia, cinque anni prima nelle vesti di aiuto regista di Visconti, anch'egli al suo primo film ma già allora geloso custode dei suoi strumenti di lavoro, e, a buona ragione per quei tempi e per il suo temperamento, severo accentratore di ogni meccanismo che riguardasse la macchina da presa.
A guerra finita, però, quella gru io l'avevo rincontrata nel film Il sole sorge ancora diretto da Aldo Vergano e l'avevo cavalcata per lunghi mesi, ma questa volta non più in segreto, semmai con tutta baldanza, anche se rivestivo ancora i panni di assistente alla regia. Vergano, al contrario di Visconti, aveva diretto il film nel '46 e a Milano, in un clima di esaltante democrazia cinematografica, circondato e assistito da uno stuolo di giovani che rispondevano al nome di Guido Aristarco, Ruggero Jacobbi, Carlo Lizzani, Gillo Pontecorvo, e aveva avuto al suo fianco in qualità di organizzatore generale un prestigioso comandante partigiano della Lombardia, di estrazione comunista, Giorgio Agliani, produttore dell'impresa per conto dell'ANPI, un organismo, com'è noto, a conduzione ciellenistica che finanziando l'opera, però, intendeva esaltare i valori e il significato della Resistenza nel Nord proprio attraverso un racconto teso a raccogliere e sottolineare soprattutto i suoi più manifesti aspetti sociali.
Il sole sorge ancora, infatti, fu e resta ancora oggi, la risposta da sinistra, del Nord, a Roma città aperta del Centro-Sud: due venti resistenziali che intendevano soffiare con vibrazioni diverse in direzione dello stesso obiettivo di democrazia, ma il primo con vigorose folate di socialismo utopisticamente proiettato in avanti, a fronte del secondo meno scalpitante ideologicamente, quasi un presagio di futuro compromesso storico, più cauto e razionale, quindi, anche se di forte emotività politica e umana.

3 Ossessione e Il sole sorge ancora sono gli unici film ai quali io abbia partecipato da aiuto regista. Un terzo, iniziato a fianco di Rossellini nell'estate del '43, e che doveva chiamarsi Scalo merci, non fu mai terminato dal suo autore cui il tragico bombardamento aereo del quartiere S. Lorenzo a Roma, dove era ambientata la storia, aveva distrutto tutti i piani di lavorazione.
Caduto il fascismo con il 25 luglio, e dopo gli avvenimenti dell'8 settembre, Rossellini pensò di trasferirsi con tutta la troupe in un paesino nascosto tra i monti dell'Abruzzo, nell'intento, diceva, di continuare il film lontano dai rumori della guerra con un diverso racconto adeguato al nuovo ambiente. Non si girò mai neppure un metro di pellicola su quelle montagne, perché in realtà l'operazione fu compiuta (credo di non svelare alcun segreto) per essere più vicino agli eserciti Alleati nel caso di un repentino sfondamento delle linee di difesa naziste da parte inglese e americana.
Io non mi sentii di seguirlo, né come aiuto regista né come cittadino. Mi sembrò (forse a torto) una fuga dalle responsabilità morali e politiche del momento e rimasi a Roma per fare il mio dovere, non più inserito in una troupe cinematografica ma nelle file della Resistenza e a fianco del partito comunista e della sua organizzazione clandestina alla quale del resto gi` da qualche anno io avevo aderito.
Rossellini, com'è noto, seppe riscattarsi abbondantemente da quella fuga, prima con Roma città aperta e poi con quell'indimenticabile punto costante di riferimento del neorealismo che fu e resterà sempre il suo Paisà.

4 Scalo merci fu terminato, in seguito, dall'attore-regista Marcello Pagliero con il titolo di Desiderio, e Rossellini, assurto nel frattempo a gloria internazionale, non si interessò oltre al suo destino (e tanto meno io). Ho mancato più volte l'occasione di vederlo, e non so quindi quanto del materiale girato dal suo primo regista sia rimasto nel film e in che misura la storia sia mutata rispetto alla sua originaria stesura. So, invece, che Desiderio, oggi, si è trasformato in uno dei più ricercati puzzle per quel cinefili arrabbiati che amano inoltrarsi, con sofisticate e fantasiose analisi, nell'aggrovigliata matassa di questa o quella sequenza, di questa o quella inquadratura del film, alla disperata ricerca della calligrafia ora di un documentarismo alla Rossellini prima maniera, ora del tocco sobrio e intelligente di un Pagliero buon artigiano della macchina da presa, ora addirittura dei primi sussulti di erotismo (?) cinematografico del sottoscritto. Tutto quello che io posso dire, ora, che lei, quella gru, durante i mesi di lavorazione in cui Rossellini guidò il film, non fu mai chiamata, nonostante le mie giornaliere ossessive insistenze con lui per spingerlo ad adoperare quell'attrezzo che pur essendo di proporzioni smisurate e ingombranti e apparisse goffo ed elefantiaco, era per me fonte di continue stimolanti visioni figurative: poteva sollevarsi da terra, in un attimo, sino a dieci metri di altezza, carrellare dolcemente, sia pure un poco ansimando, su binari appositamente predisposti, e compiere con una eleganza degna del volo di un gabbiano astute e rotonde panoramiche da abbracciare sino ai trecentosessanta gradi.

5 Ma a Rossellini quella gru non serviva, e pertanto ebbe ragione a negarmela sempre. Muoveva da altre altezze lui, aveva in mente un cinema diverso. A ciascuno i suoi voli, del resto, e ad ognuno le sue inquadrature. Io, invece, la desideravo tanto, sin d'allora, ne avevo un così struggente bisogno per esprimermi che fu il primo strumento di lavoro da me puntigliosamente richiesto (nonostante il suo costo d'affitto giornaliero fosse assai elevato), ritenendolo indispensabile alle riprese del mio debutto di regista, avvenuto appunto con Caccia tragica nel cupo paesaggio invernale delle paludi di Comacchio e tra le montaliane pinete di Ravenna.
Sarei stato capace di rinunciare alla macchina da presa magari, mal a quella gru. Avveniva che cavalcandola io ritrovassi, di certo inconsciamente, il ricordo incantato delle tante altalene della mia infanzia, e, più indietro nel tempo, quello altrettanto magico della culla dei miei dormiveglia di lattante, l'uno e l'altro assommati all'emblematico desiderio di volo e al bisogno inquietante di fuga netto spazio che ciascuno di noi si porta dietro per tutta una vita. Quella gru era per me anche l'enorme emporio di quei mezzi agricoli, dagli aratri ai trattori alle trebbiatrici, che avevano eccitato e nutrito la mia fantasia vivendo per anni e anni nel mezzo di quella civiltà contadina cui, nel bene e nel male, ancora oggi appartengo.
Per tutto questo, credo, e per tante altre ragioni troppo lunghe e complesse a spiegarsi, io mi facevo sollevare verso il cielo, su su, sin quando si poteva, e poi calare d'improvviso sino a terra, per risalire magari subito dopo: a seguire con la macchina da presa centinaia e centinaia di comparse o singoli personaggi tra filari di pioppi o lungo i canali; o a precedere diecine e diecine di biciclette con sopra contadini dai lunghi mantelli neri; o carri dall'incedere lento dei vigorosi buoi padani; o persino salendo sui treni. Sì, quella gru m'era così indispensabile ch'io me la portavo dietro dappertutto, obbligando gli organizzatori del film a spese di trasporto (ci voleva un camion tutto per lei) e ad intralci lavorativi non indifferenti (doveva partire almeno un paio d'ore prima della troupe per essere sui luoghi delle riprese).
La impiegavo in tutte le occasioni. Un giorno, per più giorni, anzi, pretesi ed ottenni che fosse issata sul vagone scoperto di un treno (uno dei tanti che servivano gli zuccherifici della zona) e, viaggiando su un percorso pericoloso di curve di salite e di improvvise discese, riprendesse un grande corteo di reduci che assaltavano la ferrovia e salivano sul mezzo in corsa stracolmo di borsari neri e contadini. Fu l'inquadratura più avventurosa della mia carriera: l'azione partiva dal dettaglio dei piedi di una ragazza che ballava il boogie-woogie mentre il treno correva, e poi quando la macchina, montata su un carrello, indietreggiava, la gru si levava verso l'alto per allargare lo sguardo dell'obbiettivo e mostrare l'intero convoglio con i viaggiatori assiepati persino sui tetti e i reduci con cartelli e bandiere che sbucavano d'improvviso sull'immensa pianura e per salire lo prendevano d'assalto da ogni parte. Era uno dei primi piani sequenza (se non il primo in senso assoluto) nel cinema italiano del dopoguerra. Una scena a vederla ancora oggi entusiasmante tecnicamente che solo la giovinezza e la maniera spericolata di concepire il cinema allora per penetrare nella realtà in modo nuovo avevano reso possibile.

6 Ma tant'è: dopo quella scena divenni nel cinema italiano il regista della gru, e avendola usata abbondantemente (ma credo quasi sempre appropriatamente) anche negli altri film successivi come Riso amaro e Non c'è pace tra gli ulivi, alcuni innominabili miei colleghi giunsero sino al punto di suggerire ai produttori che mi finanziavano di togliermela, perché senza quella gru, e a loro insindacabile giudizio, avrei certamente fatto dei film migliori e più a buon mercato. Era come se qualcuno avesse imposto a un pittore come Guttuso, per esempio, di dipingere eliminando il rosso o il giallo o che so io. Meraviglioso e abominevole mondo del cinema!
E pensare che io su quella gru ci avevo persino amoreggiato. Ricordo che in uno dei miei film avevo qualche interesse per un'attrice, non so più quale e non so più dove. Per isolarmi qualche volta con lei, me la portavo sulla gru, seduta al posto dell'aiuto operatore, e quando eravamo su in alto, volando come due personaggi di Chagall, mentre io lavoravo con la macchina da presa, potevamo parlare liberamente, circondati solo dal cielo a un'altezza da capogiro, e lontano da orecchie indiscrete anche se non proprio da ogni pettegolezzo.
Oramai quella gru, considerata inutile e fuori moda non la fanno più lavorare, come accade a me del resto da circa due decenni: sarà anche per questo che io la ricordo sempre. L'ultima volta che l'ho vista è stato nel film Roma, in quella funambolica sequenza che si svolge lungo tutto il percorso del raccordo anulare sotto l'imperversare di una pioggia torrenziale in un'atmosfera da inferno dantesco. Ma, appunto, non lavorava, era l` solo in veste di finzione, e Fellini ha avuto ragione di mostrarla così, quasi fosse un antico monumento del cinema italiano, un mostro sacro del vento, della pioggia e del cielo che ha servito fedelmente e con geniale creatività più di una generazione di registi e di operatori del mondo intero. Ora so che giace abbandonata nei prati di Cinecittà come un vecchio elefante nel suo cimitero forse a lungo cercato.
Non ci sarà mai più una gru come lei. Al suo posto, da molti anni, è arrivato il dolly, un arnese aggraziato, docile, leggero, ma è un'altra cosa. Può sollevarsi a poco più di tre metri da terra: per un regista della mia generazione che lo inforca, è come se da gabbiano ch'era una volta discendesse improvvisamente al rango di passero (Giuseppe De Santis, Fiano Romano, agosto 1982).

Biografia

regista

Giuseppe De Santis

Giuseppe De Santis (Fondi 1917 - Roma 1997) comincia a occuparsi di cinema negli anni '40 come critico, sceneggiatore e aiuto di Luchino Visconti in Ossessione (1942). Partecipa alla Resistenza romana e, nel 1946, collabora con Aldo Vergano per Il sole sorge ancora. Nel 1947 esordisce nella regia con Caccia tragica e, due anni dopo, firma il suo capolavoro Riso amaro. Nel 1950 è la volta di Non c'È pace tra gli ulivi, girato nel Lazio e ideale continuazione del film precedente. Successivamente firma Roma ore 11, uno dei suoi maggiori successi internazionali. In Jugoslavia realizza La strada lunga un anno (1958), mentre si reca in Unione Sovietica per Italiani brava gente (1964), uno dei suoi lavori più emozionanti. Dopo un lungo silenzio, partecipa alle riprese di Oggi è un altro giorno (1995).

FILMOGRAFIA

Caccia tragica (1947), Riso amaro (1949), Non c'È pace tra gli ulivi (1950), Roma ore 11 (1951), Un marito per Anna Zaccheo (1953), Giorni d'amore (1954), Uomini e lupi (1956), La strada lunga un anno (1958), La garÁonniÈre (1960), Italiani brava gente (1964), Un apprezzato professionista di sicuro avvenire (1972), Oggi è un altro giorno (1995).

Cast

& Credits

Regia: Giuseppe De Santis.
Soggetto: Giuseppe De Santis, Carlo Lizzam, Lamberto Rempicci.
Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Cesare Zavattini.
Fotografia: Otello Martelli.
Operatori: Carlo Carlini, Gianni Di Venanzo.
Montaggio: Mario Serandrei.
Collaboratori alla regia: Sergio Grieco, Carlo Lizzani.
Scenografia: Carlo Egidi.
Costumi: Anna Gobbi.
Trucco: Guglielmo Bonotti.
Segretaria di edizione: Giovanna Valeri.
Musica: Giovanni Rosati diretta da Ferdinando Previtali (orchestra RAI).
Interpreti e personaggi: Vivi Gioi (Daniel detta Lili Marlene), Andrea Checchi (Alberto), Carla Del Poggio (Giovanna), Massimo Girotti (Michele), Vittorio Duse (Giuseppe), Checco Rissone (Mimi), Umberto Sacripante (lo zoppo), Alfredo Salvadori, Folco Lulli (fattori), Michele Riccardini (Maresciallo), Eugenia Grandi (Sultana), Piero Lulli (autista), Guido Della Valle (il tedesco), Ermanno Randi (Andrea), Massimo Rossini (il camoscio), Enrico Tacchetti (il ragioniere). Non accreditato: Carlo Lizzani (reduce che tiene un comizio).
Produzione: G. Giorgio Agliam per la ANPI Film.
Produttore associato: Dante Film.
Segretaria di produzione: Anna Davini.
Distribuzione: Libertas Film.
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